Nettuno Prodotti Ittici Conservati

L’azienda Nettuno nasce nel 1950, fondata dal capostipite di famiglia, Raffaele Giordano. L’attività principale consisteva nella trasformazione dei prodotti ittici e ortofrutticoli; questi ultimi abbandonati agli inizi del 2000 per dedicarsi completamente ai prodotti offerti dal mare di Cetara.

Fin dagli anni ’50 Nettuno si specializza nella produzione dei filetti di alici, in quei primi anni di vita dell’azienda distribuiti addirittura in bicicletta

Negli anni ’80 e ’90 alla fabbrichetta viene affiancata una pescheria, in seguito chiusa. A metà anni ’90 inizia in paese la riscoperta dell’antico condimento principe delle tavole di Cetara, la colatura di alici. Con il passare degli anni, la colatura di alici di Cetara assurge alla notorietà nazionale e non solo. Buona parte degli sforzi dell’azienda, così, si concentrano su questo delizioso prodotto. Grande attenzione, però, viene riservata a tutti gli altri prodotti ittici che caratterizzano dalla fondazione l’operato.

Il territorio

La Colatura di Alici di Cetara ha come antenato nobile il Garum degli antichi romani. Questo condimento ha sicuramente origini orientali e prende il nome dal misterioso pesce “Garos” (forse le comunissime alici). Da esso probabilmente poi prese il nome la salsa che gli antichi greci chiamavano “Garon”, e i romani ribattezzarono in “Garum”.

Le varie salse riconducibili al Garum romano verranno utilizzate fino a quando saranno superate per qualità e profumo, nonché per semplicità di produzione, dalla realizzazione della “Colatura di alici” (come la intendiamo oggi). Ciò avviene, probabilmente, intorno alla seconda metà del XIII secolo, ad opera dei monaci cistercensi della canonica di San Pietro a Tuczolo, colle nei pressi di Amalfi.

I monaci possedevano una modesta flotta che utilizzavano per il trasporto del frumento e che nei mesi estivi trasformavano in pescherecci per la pesca del pesce azzurro, in particolare delle alici. Essi possedevano anche dei locali per la conservazione del pescato, nei quali riponevano botti contenenti alici private della testa e delle interiora, alternate a strati di sale. Sulla copertura della botte riponevano un pesante masso che permetteva al liquido in eccesso di depositarsi sul fondo del barile e attraverso le doghe scollate di versarsi sul pavimento. Il profumo e la limpidezza di questo liquido che colava sul pavimento indussero i monaci a raccoglierlo in recipienti e a portarlo all’attenzione del fratello che si occupava di cucina. Costui immediatamente utilizzò il liquido per condire le verdure lesse, aggiungendovi spezie, aromi e l’olio.

I monaci mandarono questo nuovo condimento in dono ai conventi e a molti cittadini della zona, che successivamente si industriarono per preparare il liquido nelle proprie case. Qualche persona della zona ebbe la felice intuizione di usare il cappuccio comunemente adoperato per stillare il mosto. Cominciò, cioè, a filtrare anche i liquidi e le alici spappolate residuati nei fondi dei vasi di terracotta, facendo nascere la colatura di alici che attualmente si produce.